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Mea Pulchra
La raccolta




La cucina

Questa parte della esposizione si trova nella zona anteriore della vecchia cantina-deposito di vino: ha la volta a vela e il pavimento in lastre di pietra con mattoni lungo le pareti per assorbire il gocciolamento delle botti.


Il pane


 

Il grano era conservato nel casciòne , vagliato con "re pellìcce", macinato al mulino o, per piccole quantità, con una macina in pietra girata a mano e infine setacciato con "re cernetùre" nella mesèlla.

Nel "vòtane" si conservavano piccole quantità di grano.

 

Nell'arca o madia la farina veniva conservata e impastata.


"La pasta da lievitare era messa in un recipiente di legno la menùccia e, al giusto calore, lievitava; quando non ricresceva si diceva che ze cecàva.
Molta attenzione si poneva al lievito che non doveva uscire di casa dopo l'imbrunire o essere maneggiato dalla donna indisposta.



Prima di infornare, si puliva il forno mediante re mùnre specie di scopa fatta con foglie di granturco.

Le pane rùsce,
come dice la canzone, era il pane di granturco.


Il frumento si misurava con la bilancia o mediante contenitori:
1 tomolo (44 kg. di grano) = 2 mezzette (re mezzètte) = 4 coppe (la còppa) = 24 misure (la mesùra).



Ricette caserecce

In paese la cucina di una volta è ancora presente.

Piatti ricercati
erano le sàgne (le lasagne), re fascarièglie a base di muòcche (polenta) con rape, spinaci, diavoletti, salsiccia e formaggio, servito sulla spàsa , le patàne arracanàte (patate e capretto sotto la brace), re abbuòte (involto di budelline di capretto o agnello lattante ripieno di interiora sminuzzate variamente condito); le carni di maiale, agnello, pollo, tacchino, piccione ecc. erano cucinate in vari modi: alla brace, in tegame con o senza pomodoro, bollite.

Naturalmente il pane si faceva in casa : ancora oggi c'è chi lo fa nel vecchio forno, quando c'è.

Tra le verdure erano apprezzate, e lo sono ancora oggi, le cecòre (la cicoria) e le iérve o fòglie (le verze). Venivano cucinate sbellùte con olio limone e aglio o alla vessòra (saltate in padella) con uòglie, sàle e cerasciéglie (olio sale e peperoncino).
La sera del 31 di Ottobre, prima di Tutti i Santi, la tradizione vuole, ancora oggi, che si consumino sagne e verdura, sàgne e ièrve.

La ciabbòtta era un piatto a base di patate, peperoni, cipolla, zucchini e melanzane.

La sàgna lèveta era ottenuta con pasta lievitata con la quale si faceva la caratteristica sàgna stracciàta : la donna, a fianco al camino, aveva in testa, sopra a una tovaglia, la pasta lievitata che tirava e rompeva a pezzi per metterla nel caldaio dell'acqua bollente.

Piatti frequenti erano quelli a base di fasciùole, cìce e lentìcchie (fagioli, ceci e lenticchie).

I condimenti derivavano sostanzialmente dal maiale: la vendrésca (pancetta), re làrde addacciàte (lardo triturato), l'uòsse de re presùtte (osso del prosciutto), le còteche (cotiche)
, la 'nzògna ( sugna) che sostituiva il costoso olio di olva.

Tra i dolci : a Carnevale le scarpèlle (ciambelle fritte) consumate anche durante re cummìte, conviti tra parenti e amici tenuti in quel periodo; a Pasqua re cuculuòzze (torta al forno in varie forme)
e re sciadòne (torta rustica con formaggio); l' 11 Novembre la pizza d S. Martino fatta con la stessa pasta delle scarpelle e del cocolozzo e consumata in una particolare rito dove il più anziano della famiglia nascondeva dei soldi nelle porzioni e chiedeva al più piccolo "S. Martino, questa a chi la vuoi dare?": a ricordo di S. Martino cavaliere che regalava ai poveri pezzi del suo mantello.

Le mela fuòrte e le pera fuòrte,
cioè resistenti, una volta nascevano spontaneamente ed avevano profumi particolari; oggi sono scomparse quasi del tutto.


Utensili da cucina




Sono esposti:

Utensili in legno
, scaldaletti, bricchi detti cecculattère, tostacaffè, macinacaffè, bilance.


 

Una particolare ampolla in vetro per catturare insetti

 

Attrezzo per pressare i fichi secchi nelle formelle.

 

 

Armadietto con piattaia. Sopra il mobile sono poggiati due vasi smaltati, detti "càndra", per conservsre gli insaccati sotto strutto o sott'olio.

Attrezzo artigianale in legno per ottenere la passata di pomodori .

Grattugia per formaggio fresco


Il camino


Il camino era , insieme al telaio, il luogo dove specie d'inverno la donna trascorreva la maggior parte della giornata.
Si cucinava in vari recipienti di rame e di terracotta.
Le grate in ferro proteggevano i bambini dal fuoco e tenevano i panni da asciugare.

Sul camino una pipa di creta con cannuccia, ferri per pizzelle con incisioni , lumi a petrolio portatili e da parete .
La culla per neonati, la sciònna, durante il giorno era vicino al camino.


" Spesso la donna portava la sciònna nei campi conducendola in testa sulla spasa (cercine) ; dentro il bambino da un lato e la colazione per il marito dall'altro; per strada faceva la maglia e, una volta arrivata, allattava!
I bimbi portavano un camicino detto "cacciamanièglie", e legato al collo avevano un sacchettino contenete particolari sali contro i malanni e i malocchi chiamato abbetìne".



La tessitura


 

 

La lana, dopo la cardatura mediante lo scardasso, veniva filata tramite il fuso e poi ridotta a matassa sull'aspo, re naspatùre; la matassa era a sua volta inserita nell'arcolaio, re felatùre, e il filo dipanato si avvolgeva ai cannelli, re cannièghie, tramite il filatoio, re manganièglie.
Da una rastrelliera su cui si disponevano i cannelli preparati in precedenza, i fili venivano lavorati sull'orditoio facendo uso della felaròla, tavoletta con una serie di fori: nasceva così l'ordito che successivamente veniva avvolto sul sùbbio, re sùgghie.

"Preparata la orditura presso le poche famiglie attrezzate a questa operazione, il subbio veniva portato a casa dalla tessitrice preferibilmente coperto da un telo e dopo l'imbrunire, per non provocare invidia e conseguente malocchio durante la successiva delicata operazione di passaggio dei fili tra i pettini e i licci del telaio col rischio di compromettere l'ordito e la tela".

Iniziava quindi il lavoro di tessitura sul telaio con il lancio alternato della navetta, la trùva, con dentro la spola, un piccolo cannello col filo della trama avvolto tramite re 'ntruvedatùre.

"Sì chìnda na trùva"
, sei come una spola, è detto di una donna sempre in movimento.

"La quantità di tela che la donna doveva tessere al giorno si chiamava "re sìne", corrispondeva a circa 30-40 cm e veniva segnato già nella operazione di orditura: qualora non si raggiungeva questa misura si rischiava che le streghe rovinassero la tela durante la notte".

Il telaio in mostra proviene dalla famiglia di Ludovico Falasca il quale ne ha curato il restauro, disegnando anche un bozzetto con la didascalia dei componenti in dialetto.

"Nella maggior parte delle case non mancava il telaio, re telàre. Si tessevano panni per tutti gli usi: dalle vesti alle coperte, dalle lenzuola alle tovaglie, alle fasce per neonati ecc..
La bravura e la fantasia delle tessitrici si esprimeva nei disegni delle coperte di cui ognuna andava orgogliosa.

Durante la processione del Corpus Domini si esponevano le coperte ai balconi e alle finestre ed era l'occasione per trovare spunti e cercare di copiare dalle tessitrici più brave".


Ringrazio particolarmente le signore di Carovilli Maria e Flora che hanno preparato l'ordito e lo hanno montato sul telaio assieme alle signore Silvia e Maria C.
Un ringraziamento va anche alle maestre di tessitura sg.ra Leonella di Bucchianico e sg.ra Valeria di Cepagatti che mi hanno trasmesso molte conoscenze e sopratutto l'interesse per la tessitura.



La fonte

 

La conca di rame, la tìna, a forma di calice o secchiello, serviva per prendere l'acqua alla fonte e conservarla. Si beveva col ramaiolo, re manière .

 

L'incontro dei giovani alla fonte è testimoniata nel diario del 1944 del soldato neozelandese Harold Jamieson .

E un racconto da "Piazza Santa Maria" di Renzo Carano fa rivivere in modo straordinario l'incontro il corteggiatore e la ragazza con la "tìna".


Il bucato



I panni venivano lavati al lavatoio o direttamente al fiume col sapone ottenuto per saponificazione di grassi animali. Venivano poi messi in una tina con acqua bollente e coperti con un panno su cui si poneva della cenere.

Dal diario del soldato neozelandese Harold Jamiesion : "Il posto preferito per lavare i panni è il ruscello del paese. Credo che questo eviti pesanti carichi (d'acqua). E' una cosa nuova per la maggior parte di noi. Certamente si ottengono cose pulite e bianche. Nel campo noi quasi sempre laviamo i panni in acqua fredda e, come potete immaginare, il risultato non è proprio da "Persil" (avevano questo prodotto in Italia prima della guerra). Le donne italiane non risparmiano energia quando fanno il bucato. Deve essere una dura prova per i nostri vestiti perchè quando vengono fuori dal bucato appaiono estremamente puliti. Un altro inconveniente quando facciamo noi il bucato è il fatto che non possiamo stirarli ed ora è bello riprendere i nostri vestiti ben apparecchiati. Nonostante queste persone abbiano elettricità in casa, utilizzano vecchi ferri che hanno bisogno di essere riscaldati sul fuoco".

 

Le ceramiche

I piatti grandi e piani, spàse, erano piatti di portata, in genere per la polenta.
I boccali e alcune fiasche, dette cècene, trufi, provengono dalla vecchia cantina di S. Carano.
Un componimento popolare abruzzese così ricorda il trufo :

"La padroncina vien con la canestra,
ci porta la pietanza e la minestra.
In testa la canestra e il "trufo" in mano,
la canestra gli fa da parasole,
gli occhi neri lucenti, un altro sole".


Le fiasche usate per il vino hanno talora una strozzatura al collo e complicati fori di passaggio per il liquido in modo da rendere difficile la bevuta e perciò erano dette scherzosamente "bevi se puoi".
I contenitori per l'acqua non hanno la invetriatura perchè, trasudando, rinfrescano l'acqua.
Il primo in basso è un vaso da notte, cacatùre, seguono i trimmoni e i trufoli e, a parte, la concarella marchigiana.
I contenitori per alimenti sono detti "càndra".

Bacinella con trespolo

 

Eleganti ceramiche da tavola assieme a posate e bicchieri d'epoca.


 

Le piastrelle di origine campana, dette riggiòle, abbellivano caminetti e fornacelle.

 

Piastrelle della prima metà del '500 di origine spagnola, dette azulèjos, sono presenti in una antica abitazione gentilizia della regione.

 


Le ceramiche abbruzzesi di Castelli erano poco conosciute in questa zona dell'alto Molise.

 

 

 

 

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